La persistenza delle informazioni
Si sarebbe anche potuto introdurre citando “il libero arbitrio freudiano”, ma questo contenuto ed umile intervento, è teso solo a descrivere ciò che spesso avviene spontaneamente (potremo dire, automaticamente per rispetto dei cognitivi, oppure in ossequio ai dinamici, in modo inconscio) relativamente alle nostre convinzioni.
Avere delle precise concezioni in merito a degli oggetti, eventi, persone è esperienza comune ed imprescindibile: chiunque ha i “propri punti di vista”, “la propria idea”, “la certezza”, rispetto agli aspetti del mondo. Parallelamente, abbiamo tendenzialmente la percezione che le nostre convinzioni siano aderenti alla realtà, rappresentino effettivamente (oggettivamente) ciò che sono.
Come inizialmente accennato, la questione qui posta potrebbe essere vista da molte prospettive la stessa è infatti oggetto di studio da parte di varie discipline ivi inclusa la filosofia. In tale contesto, sembra però adeguatamente esplicativo riportare alcuni contributi provenienti dalla psicologia sociale.
Un lavoro del 1975 ad opera di importanti studiosi quali Ross, Lepper e Hubbard, ha condotto a nuove conoscenze relative al modo in cui, una volta formate, vengono trattate le nostre impressioni.
I partecipanti all’esperimento venivano invitati a svolgere alcune prove le quali venivano valutate in base alla loro adeguata esecuzione. In realtà i giudici fornivano i loro feedback in modo del tutto casuale.
Alcuni partecipanti ricevettero così molti feedback positivi formandosi un’impressione favorevole rispetto alla loro prestazione; altri, giudicati invece come meno efficaci, si formarono una propria impressione di segno opposto.
Successivamente tutti i partecipanti furono informati della vera natura dei feedback ricevuti, ovvero che gli stessi erano stati assegnati casualmente e pertanto incapaci di fornire indicazioni oggettive in merito alla prestazione svolta.
Infine, ai partecipanti fu chiesto di stimare il numero di prove alle quali ritenevano aver risposto correttamente. Coloro che si erano formati un’impressione di sé quali scarsamente capaci, continuarono a ritenere di essere poco abili e di aver risposto ad un numero limitato di domande nonostante avessero consapevolezza dell’infondatezza dei giudizi ricevuti!
Un risultato dalle considerazioni molto simili è stato riscontrato in uno studio realizzato da altri due autorevoli studiosi Jones e Harris (1967).
Ai partecipanti del loro lavoro fu chiesto di leggere un brano, scritto da uno studente, in cui venivano proposti argomenti a favore o contrari al regime castrista a Cuba.
Successivamente, i partecipanti furono suddivisi in due gruppi: il primo fu informato sul fatto che l’autore del brano ha avuto facoltà di scegliere quale posizione sostenere, al secondo fu invece comunicato che l’autore, nel realizzare il brano, non ha potuto scegliere quale opinione sostenere ma si è limitato a seguire delle direttive.
A fine esperimento, tutti i partecipanti furono invitati ad esprimere la loro opinione relativamente all’effettivo atteggiamento dell’autore del brano: lo stesso era realmente pro o contro le questioni castriste?
Come di facile intuizione, i componenti del primo gruppo, inizialmente informato sulla facoltà di scelta dell’autore, sostenne correttamente che le personali inclinazioni dello scrivente potevano essere in linea con il tono dato al brano. Pertanto, se l’autore aveva optato per comporre un tema “a favore” di Castro, allora costui si sarebbe potuto ritenere un simpatizzante del regime, viceversa nel caso in cui si fosse trattato un tema “contro”.
La cosa singolare fu l’effetto riscontrato tra i componenti del secondo gruppo cioè quello informato sulla mancanza di arbitrarietà dell’autore. Parte significativa di questi partecipanti, si ancorava alla loro prima impressione (opinione formatasi alla lettura del brano, prima di aver ricevuto l’informazione della mancanza di arbitrarietà nella scelta) ritenendo che l’atteggiamento personale dell’autore fosse in linea con quanto riportato nel racconto. Nonostante questo gruppo fosse informato rispetto alla costrizione che imponeva all’autore di scrivere opinioni condizionate, i suoi componenti tendevano comunque a conservare la prima impressione formata e ciò indipendentemente dalla consapevolezza che lo scrivente non avesse potuto scegliere liberamente se trattare un tema pro o contro Castro! *
Anche di fronte ad elementi che indicano chiaramente l’infondatezza delle prime impressioni, modificare le stesse appare essere un processo oneroso, per giungere a tale obiettivo si rende necessaria una certa forza volitiva e consapevole.
Tornando al quesito iniziale, al di là della provocazione freudiana, siamo ancora certi che le nostre impressioni rappresentino esattamente “la realtà”? E, a livello relazionale, quanto è confutabile l’opinione altrui? Perché la nostra impressione/convinzione dovrebbe essere “più vera” rispetto a quella degli interlocutori?
Conoscere questi meccanismi mentali, porta vantaggi in disparati ambiti, ma molto più semplicemente ha l’ambiziosa potenzialità di promuovere il rispetto reciproco.
*Le evidenze provenienti da tale esperimento vengono anche usate nelle teorizzazioni/spiegazioni relative al modo in cui si inferiscono le caratteristiche delle persone osservate, disposizioni interne vs scelte dettate dalla situazione.